Il 1 marzo del 2019 alla Casa del cinema di Venezia di San Stae sono stati riproposti alcuni dei cortometraggi selezionati della XVa edizione del Videoconcorso Francesco Pasinetti, un interessante concorso di alto valore, che vanta appunto oramai una lunga esistenza, dedicato a giovani e giovanissimi filmmakers di grandi qualità artistiche. Il concorso, è bene ricordarlo, è appunto dedicato alla figura poliedrica di Francesco Pasinetti (1911-1949), un importante regista (anche di opere liriche), sceneggiatore, prolifico documentarista, critico cinematografico, autore di libri sul cinema, originario di Venezia.
Venezia ha inevitabilmente un peso molto importante nel definire alcuni dei temi scelti dai ragazzi. Ultimamente gli ambiti su cui molto s’è concentrato il premio Pasinetti sono quelli culturale, sociale ed ambientale.
Il concorso, diretto da Michela Nardin e coordinato da Daniela Manzolli, suddiviso in uno svariato numero di sezioni, è solito coinvolgere diverse sedi veneziane oltre alla Casa del cinema. La giuria, guidata da Carlo Montanaro (vivace figura caleidoscopica di spicco nel contesto culturale veneto e non solo, scrittore, giornalista, critico cinematografico, aiuto regista in numerosi film), è sempre formata da personalità provenienti dai settori più diversificati. Ricordo infine che il Pasinetti ha intessuto nel corso degli anni intense e proficue collaborazioni con varie scuole del Veneto.
Per venire alla serata del primo marzo, il pubblico della Casa del cinema ha potuto visionare, a capo della sequenza, il corto vincitore dell’edizione del 2018, veramente molto breve, dal titolo: Ritratto di un uomo chiamato Toni, di Marta Pasqualini. Un bel cortometraggio limpido, luminoso quanto semplice nel suo impianto ‘documentaristico’ dedicato ad un mastro vetraio di Murano ‘verace’, tale Toni Zuccheri, definito “uomo curioso e quieto”, dallo “sguardo innocente”. Una sorta di flebile ma intensa voce isolata in un’era dove sempre più la tecnologia e la grigia industria hanno preso piede ‘soffocando’ l’artigianato. Un lavoro, quello della Pasqualini, che può essere inteso come un tributo alle vecchie arti dell’artigianato e la rivendicazione di un ‘calore’ emozionale che sta scomparendo a causa della vorace brama di profitto dei tempi moderni. La lettura di una poesia di Nanni Cagnone vanta la partecipazione del grande Ugo Pagliai.
The iPhone’s life del giovanissimo Mattia Stefanutti (veneziano del Lido, appassionato di fotografia, che in sala aveva con sé la propria amata Pentax), è un ironico, intelligente quanto profondo gioco di punti di vista (e quindi di specchi) tra Mattia regista, Mattia attore, il cellulare protagonista del cortometraggio e lo spettatore. Lo spettatore vede la realtà, nel corso di questo lavoro, singolarmente attraverso lo sguardo di un iPhone. E al contempo, noi spettatori del corto veniamo scrutati da Mattia. Senza quasi accorgercene, la nostra identità durante il film si sdoppia: un po’ manteniamo la nostra identità di Soggetto osservante, e un po’ diventiamo Oggetto osservato. L’oggetto inanimato che Mattia (o “Metiu” come lui stesso ama scherzosamente firmarsi) scruta e tiene fra le mani, siamo noi stessi. Sentiamo di essere l’anima, il respiro, gli occhi del suo amato strumento ipertecnologico. E quando il vetro del display si scheggia, avvertiamo tutti le schegge, le fratture che sono in noi in quanto esseri umani di passaggio. Gelosi nell’osservare Mattia che tiene fra le mani un nuovo cellulare, mentre noi siamo riposti in un armadietto. E felici di risvegliargli bei ricordi, nel momento in cui, preso da un moto di nostalgia, ci riprende in mano, a distanza di tempo. Un cortometraggio che si inserisce in quel filone di riflessioni artistiche sulla tecnologia delle quali il film Her di Spike Jonze (del 2013) è una delle più rappresentative degli ultimi anni. Degne di nota anche le tre musiche impiegate. La prima ad essere ascoltata è il celeberrimo incipit dell’Also sprach Zarathustra di Richard Strauss (reso popolare in tempi moderni anche da 2001: Odissea nello spazio di Kubrick). Nel 1896 (anno della sua composizione) tale incipit nasceva (secondo un’interpretazione), come solenne ed epicheggiante omaggio al Superuomo di Nietzsche; ‘Metiu’ qui se ne serve invece in modo scherzoso per raffigurare l’enfasi con cui gli uomini vivono il progresso tecnologico, inverato nell’ultimo modello di iPhone. Il secondo brano del corto è rappresentato da un sontuoso quanto avvolgente assolo per pianoforte in stile quasi minimalista. Si tratta di Everyday (del 2006) della musicista Carly Comando. In questa sezione, l’iPhone diventa parte della vita di Mattia e testimone affettivo dei suoi momenti più significativi. Il terzo e ultimo brano scelto da Stefanutti è la celebre Cavatina di Stanley Myers (originariamente concepita per pianoforte, poi adattata da Myers per chitarra e orchestra; venne impiegata nel cinema prima ne La ragazza col bastone, poi ne Il cacciatore di Michael Cimino). Il cortometraggio di Stefanutti ha vinto il premio della sezione “Giovani Tema Libero”.
Di Lorenzo Garbin è stato proposto Non fermarti, sulla “Su e zò per i ponti”, celebre quanto colorita iniziativa sportiva primaverile veneziana nata nel 1975, il cui tragitto supera i dieci kilometri e che raccoglie in media ogni anno diecimila partecipanti. L’impianto di questo corto è, lo dico senza mezzi termini, schiettamente ‘pubblicitario’, incentrato sulla promozione a mò di depliant dell’evento. Garbin ha scelto di non incentrare il discorso sull’aspetto meramente agonistico, bensì sui preziosi e variopinti costumi storici, sugli strumenti musicali antichi, sugli sbandieratori e sulla banda (sempre capace di suggestioni). Il corto ha vinto il premio della sezione “Corti in corsa”.
Follia, di Riccardo dell’Acqua, è giocata, per tutti i minuti che la compongono, sul ritmo accellerato in senso parossistico della sequenza delle immagini. Una denuncia sul caos derivato dal turismo di massa e sulla frenesia consumistica. A livello di contenuti, non siamo poi così distanti dalle amare riflessioni che, in campo letterario, possono scaturire dal pervasivo e commovente racconto di Marilia Mazzeo Lo scrigno, del novembre del 2018 (rinvenibile on line ne Il mio primo amore, un’importante rivista quadrimestrale), racconto che invito senz’altro a conoscere, in cui l’autrice denuncia con ammirevole sensibilità lo snaturamento – appunto odierno – dello Spirito che apparteneva alla Venezia di ieri. Se non si è esperti di musica non ce ne si accorge, ma se lo si è, si arriva a dare un duplice valore al titolo “Follia”. “Follia” non solo come frenesia-isteria e decadenza della città: il regista ha scelto di abbinare alla sua idea visiva un brano di musica particolare, di Vivaldi (compositore veneziano che non dovrebbe essere riconosciuto solo come l’autore de Le quattro stagioni, ma anche come l’autore di tante altre opere importanti, tra le quali una raccolta di concerti intitolata appunto La follia), sui cui ritmi concitati è scandito lo scorrere delle immagini del cortometraggio. Unica pecca, il fatto che proprio quest’idea della frequenza accellerata delle immagini renda il lavoro un po’ monocorde e che i minuti che lo compongono si facciano un po’ sentire. Ma del resto far avvertire fisicamente allo spettatore il ‘peso’ del messaggio di denuncia attraverso un linguaggio insistito e non troppo piacevole per l’occhio è una delle molte vie consentite ad un filmmaker per esprimersi. Il corto è stato premiato per la sezione “Giovani Venezia: una città”.
La giornata di Pippo Mezzapesa è invece un corto di denuncia verso il diffuso quanto sconsiderato sfruttamento dei lavoratori e il fenomeno del caporalato in Italia. Protagonista della vicenda è Paola Clemente, una bracciante agricola della Puglia realmente esistita, deceduta pochi anni fa. Deceduta “per cause naturali” ha sentenziato in prima istanza la coorte del tribunale, ma il regista attribuisce la colpa allo sfruttamento sconsiderato da parte di molti datori di lavoro. Un caso assolutamente non isolato, che ha fatto giustamente scalpore anche all’estero, a tal punto che proprio a seguito di questo decesso è stata promulgata la legge contro lo sfruttamento tutt’ora vigente. Tra le informazioni dei titoli di coda del film, si viene anche a sapere che ai tempi in cui è stato prodotto il corto (l’uscita è avvenuta nell’ottobre del 2017), doveva ancora essere emessa una sentenza definitiva sul caso. Mezzapesa riesce a calibrare il tutto, nella breve sequenza di scene, in chiave minimalista, senza enfasi né retorica, dando un volto ‘artistico’ alla vicenda. Lo spettatore può apprezzare l’impianto schiettamente teatrale delle scene, delle situazioni descritte e del testo recitato, quasi a voler vagamente alludere, a mio parere, alle antiche rappresentazioni negli anfiteatri della Magna Grecia. Ma un vago riferimento sembra esser stato rivolto anche al mondo del cinema stesso, nella scena in cui il datore di lavoro despota si siede su una sedia avendo di fronte le braccianti, un po’ come capita nella situazione canonica del regista di cinema che si pone di fronte agli attori e alle attrici per provare le scene. L’attrice che impersona Paola Clemente, Arianna Gambaccini, riesce ad imprimersi in modo efficace, contornata da attori e attrici che pur in modo del tutto essenziale riescono ad ‘esalare’ il doloroso messaggio della vicenda. Il corto ha vinto il premio sia per la sezione “Documentario e documentazione”, sia per la sezione “Fotografia”.
Anna & Bassam è invece un corto del pugliese Davide Rizzo sugli attuali pregiudizi in Europa legati agli stranieri. La storia è ambientata a Riga e i due protagonisti sono una bella quanto giovane lettone ed un ragazzo pakistano. Tra i due nasce l’amore, ma l’idillio sembra frantumarsi irreparabilmente a causa della tragedia del Bataclan (avvenuta nel novembre del 2015) e della diffidenza e dell’ostracismo di carattere etnici scaturiti di rimbalzo. Nell’epilogo, a sorpresa, torna però a ricomporsi, supponiamo più forte di prima, il legame tra i due. Il tema qui affrontato del pregiudizio (nel caso di Anna & Bassam associato all’ignoranza e allo stereotipo) è comunque complesso e questo corto ne considera, sintetizzandolo, solo un aspetto, per cui inevitabilmente si tratta di un lavoro che crea e creerà anche in futuro dibattiti. Il corto ha ricevuto dalla Giuria una Menzione speciale.
Framed (ossia “incastrato”, “conformato”, in italiano) è invece un corto di animazione (basato sulla tecnica dello stop motion) di Marco Jemolo. Come il significato eminentemente politico di Anna & Bassam era la diffidenza sconsiderata nei confronti dello straniero, così Framed è una riflessione di carattere eminentemente politico sulle costrizioni imposte dalla società. Il protagonista della vicenda (dall’atmosfera allucinata), dal nome Fk, personaggio di plastilina alienato (non è un caso se viene rappresentato come una sorta di marziano), è una marionetta nelle mani di una società che, tentando di plasmarlo (il fatto stesso sia di plastilina lo rende suscettibile di subire tali manipolazioni) gli impone di essere ciò che non è e di fare ciò che non vorrebbe fare. Il tema dello snaturamento e della costrizione ad indossare una maschera per essere accettati e ben accolti dagli altri (da qui il titolo “conformato” = “incastrato”…se avete dei dubbi, il titolo originale di Chi ha incastrato Roger Rabbit? è proprio Who ‘framed’ Roger Rabbit?) è talmente attuale e lo stile di Jemolo è talmente penetrante, che Framed non ha tardato ad interessare l’attenzione di molti critici e di molte giurie. Fk può essere visto in definitiva come una sorta di anti-eroe ‘icona’ degli anni 2.0. Quello di Jemolo è senz’altro una denuncia, un grido d’allarme per scuotere le coscienze (un “noir satirico” lo definisce giustamente Lorenzo Barberis), esattamente come lo sono La giornata di Mezzapesa e il corto di Davide Rizzo sopracitati. Anche un invito a ritrovare la propria personalità perduta, prima che sia troppo tardi. Un lavoro che, si badi, come talvolta capita nel caso dei lavori di denuncia, trascura la parte estetica per concentrare tutta la sua forza sul messaggio da veicolare. Però tecnicamente è molto ben realizzato e alla fine il messaggio arriva potente. Il corto ha ricevuto il premio per la sezione “Tema libero”.
Altro lavoro di denuncia è quello di Adriano Devita sulle grandi navi a Venezia, dal titolo: Come una palla di neve all’inferno. Il titolo è una citazione còlta (colta nel senso di acculturata) da un testo di Gregory Bateson, l’importante antropologo, sociologo e psicologo britannico vissuto tra il 1904 e il 1980, noto per scritti quali Verso un’ecologia della mente e Mente e natura. Come il corto di Riccardo dell’Acqua era da un punto di vista cognitivo-percettivo stancante per l’occhio per via della parossistica rapidità dello scorrere delle immagini, così il corto di Devita mette a dura prova i movimenti dell’occhio per il fatto che per tutti i minuti del filmato lo spettatore vede scorrere da sinistra a destra una delle navi da crociera che abitualmente passano per il bacino di San Marco (nello specifico, la Costa deliziosa). Un andamento lento e continuo che sottolinea l’abnorme lunghezza dell’imbarcazione. Non è un caso se il corto è stato realizzato proprio in questi anni, anni in cui è molto accesa la discussione atta ad eliminare le “grandi navi” (ossia le navi da crociera) da Venezia, per il fatto che ci si è accorti tardivamente che non solo il potente motore, ma anche il moto ondoso generato da queste imbarcazioni sproporzionate per misura al contesto in cui vengono fatte scorrere, provocano danni alle rive e all’intero ecosistema. Il corto viene nella coda finale suggellato da una frase tratta da Forma, sostanza, differenza del 1970, sempre del sopracitato Bateson. Il corto è stato premiato per la sezione “Venezia: una città”.
A completare la rassegna presentata quel giorno, Venezia la Bella, e Padova sua sorella, prodotta dalla quinta AL del Liceo Valle di Padova, coordinata dal Professor Maurizio Zorzi (vincitrice del premio per la sezione “Giovani Documentario e Documentazione”) e Trip di Patrick Francescon e Gianluca Menon (menzione speciale sezione “Giovani Tema libero”).
Il pubblico in sala si è ben accorto della qualità dei corti presentati. Autori giovani o giovanissimi, eppure già così padroni dei mezzi tecnici a loro disposizione e capaci di problematizzare la realtà in modo così maturo. Nell’ammirarli, a loro auguro di conservare nel tempo questa loro personalità, che li rende unici e preziosi. La maggior parte dei cortometraggi qui citati sono stati poi riproposti anche durante Short, il Ca’ Foscari Short Film Festival, il 22 marzo scorso, con l’aggiunta di alcuni altri corti sempre della XVa edizione.