L’intervista è scaturita con la gentile approvazione del Maestro dopo il concerto da lui tenuto il 30 marzo 2017 presso la Chiesa degli Eremitani di Padova.
Ha scritto Antonio Brena nel suo Le seduzioni di Bach (2010): «Bach riesce a cogliere musicalmente tutte le sfumature comportamentali ed emozionali dell’animo umano, tutte le atmosfere temperamentali della persona». Al di là della distinzione fra musica profana e sacra, si potrebbe aggiungere. Parole quanto mai vere, sperimentate anche dal pubblico numeroso che ha affollato la Chiesa degli Eremitani di Padova la sera del 30 marzo scorso, in occasione del Concerto solenne per la riconciliazione (si intende: riconciliazione ecumenica tra cattolici e protestanti) che ha visto in programma la Cantata n. 21 Ich hatte viel Bekümmernis (Il mio cuore era pieno di afflizione) e il celeberrimo Magnificat in re maggiore di Bach. A proporre queste pagine di seducente bellezza e di grande impatto emotivo, il noto direttore e musicologo Sergio Balestracci, alla guida della Stagione Armonica (coro e orchestra). Ottimi si sono rivelati anche i solisti di fama nazionale ed internazionale Valentina Coladonato (soprano), Andrea Arrivabene (controtenore), Mirko Guadagnini (tenore), Sergio Foresti (baritono).
Maestro Balestracci, il concerto agli Eremitani è il primo di una serie inerente la ricorrenza luterana. Un primo appuntamento s’è svolto il 17 marzo scorso: s’è trattato di una lezione dal titolo “La riforma protestante tra storia, teologia e musica”. Ci vuole brevemente parlare di questa rassegna musicale?
«Un gruppo di lavoro si era riunito tre anni fa, all’Accademia Galileiana di Padova, in vista della ricorrenza del 2017, per celebrare con una serie di iniziative i cinquecento anni dalla Riforma luterana. Il concerto del 30 marzo era pensato come punto d’arrivo di una serie di eventi didattici e concertistici rivolti soprattutto agli studenti di Padova. Il 17 marzo, all’Auditorium del Liceo Modigliani, si è tenuta una lezione introduttiva sulla Riforma dal punto di vista storico, teologico e musicale; il 1 aprile la Stagione Armonica, da me diretta, ha eseguito un programma di corali e mottetti luterani, da Walther a Telemann e Bach, intervallati da note storiche e musicali; il 6 giugno il ciclo si concluderà con un convegno internazionale sulla musica nell’ambito della Riforma».
André Pirro (1869-1943) e poi anche Karl Geiringer (1899-1989) a proposito della Messa in si minore di Bach hanno messo in luce l’anima conciliatrice, tra cattolici e luterani, del compositore…
«Forse solo oggi riusciamo a cogliere la dimensione universale ed ecumenica della musica di Bach, nella nuova stagione avviata da Papa Francesco. La cultura di Bach era riformata, ma il suo linguaggio ci appare oggi quanto mai cristiano nel senso più ampio, e l’ispirazione di tante pagine delle cantate o dei mottetti non appare in sostanza diversa da quella della Messa in si minore».
Il bel concerto da lei diretto si inserisce in un quadro filologico; vuole darcene dalla sua viva voce alcune ragioni e peculiarità? Ha qualche punto di riferimento per quanto riguarda l’interpretazione?
«Questa è la ricorrente discussione sulle esecuzioni “filologiche”. In tutta la mia carriera musicale ho sempre cercato di avvicinarmi allo spirito originale delle musiche che eseguivo: difficile definire questo e rendere le intenzioni di un autore liberando la sua musica dalle incrostazioni delle interpretazioni succedutesi nelle varie epoche. Sono partito da solisti dediti al repertorio barocco, da un’orchestra con strumenti originali e con un coro che pratica il repertorio antico con particolare studio, ma so che questo non è sufficiente di per sé e talora l’autenticità si raggiunge anche senza quegli elementi specifici. In questi ultimi tempi molti esempi significativi si sono visti oltralpe (Herreweghe)».
Nelle Cantate così come nelle Passioni è sommamente importante considerare l’ars retorica impiegata da Bach nell’interpretare musicalmente i testi. Ciò che le parole evocano, la musica tende a visualizzare (in modo sempre mirabile e sorprendente nel caso di Bach). Ci vuole indicare un paio di esempi a lei cari (dalla Cantata n. 21 e/o dal Magnificat) di questa retorica musicale?
«Il primo esempio che mi viene in mente è la Sinfonia della Cantata BWV 21, mirabile esempio di espressività, nel dialogo oboe/violino, nella condotta delle dissonanze, per introdurre l’ascolto all’afflizione dell’anima disperata e abbandonata: un notevole documento di come la musica strumentale, senza testo, può esprimere con ineffabile efficacia uno stato d’animo. Anche nel Magnificat in re maggiore la coincidenza tra portata semantica del testo e realizzazione musicale è continuamente realizzata: basti pensare al luminoso coro iniziale e al suo simmetrico al termine della composizione, nonché, ad esempio alla delicatezza di Suscepit Israel, sul canto fermo dei due oboi».
Oltre la preziosa Sinfonia introduttiva, nella Cantata n. 21 è interessante l’impiego delle alterazioni in chiave. Dopo una serie di brani in cui compaiono i due bemolle (si e mi), si arriva all’acme di tre bemolli (aria del tenore Bäche von gesalznen), per poi scendere a due, ad uno, fino al do maggiore dell’ultimo coro… secondo Lei qual è il significato di questo viaggio musicale?
«La simbologia attraverso elementi nascosti nella musica di Bach è sempre una scoperta sorprendente. In questo caso la scomparsa progressiva delle alterazioni in chiave è certamente simbolo del viaggio dell’anima dal tormento alla grazia divina».
Nella seconda parte della Cantata il soprano interpreta il ruolo dell’Anima e il basso quello di Gesù (Vox Christi); ci vuole invece spiegare chi o cosa rappresenta il Tenor? Si tratta di una sorta di ‘mediatore’ tra noi e la scena celeste? Un personaggio in cui ognuno di noi può riconoscersi?
«Le due arie del tenore descrivono i due momenti del percorso dell’Anima; la prima (Bäche von gesalznen Zähren) è la rappresentazione drammatica dello stato iniziale di pianto e tribolazione; la seconda, dopo il dialogo tra l’Anima e Gesù, è un canto di gioia per il conforto della gioia celeste ed è l’ultima aria che porta al coro liberatorio finale. Tutta la cantata si snoda in questo modo come un percorso di salvazione offerto ai credenti».
Nel testo della Cantata compaiono dei versi (“Was helfen uns die schweren Sorgen” etc.) che suppongo non siano mai stati musicati da Bach…
«Certamente Bach conosceva il Kirchelied di Georg Neumark, in cui questo verso compare all’inizio della seconda strofa; nella redazione testuale della Cantata 21 la citazione appare come corale nel corso del Coro Sei nun wider zufrieden e risulta di grande effetto musicale, così come all’epoca doveva essere percepito in tutta la sua carica espressiva durante la funzione liturgica».
A proposito del Magnificat, si parla di un Dio severo e al contempo misericordioso… Lei cosa ne pensa?
«Credo che il mistero dell’Annunciazione sia il vero centro del Magnificat; il Dio che vi è rappresentato è quello misericordioso che …respexit humilitatem ancillae suae. Gli aspetti più severi sono volti ad una giustizia terrena e sono comunque tratti che riecheggiano passi del Vecchio Testamento».
Quali sono le maggiori difficoltà nell’interpretare il sempre emozionante Gloria patri? Penso ad esempio a quelle sublimi spirali che raccontano non solo un senso di elevazione ma anche di discesa…
«Il Gloria Patri, dopo un annuncio accordale è costruito come un canone tra le cinque voci del coro; si noti sempre come Bach riesce in una sintesi nuova e perfetta che proviene dalla conoscenza di tecniche antiche. L’andamento alterno delle linee può essere considerato come lo specchio dei difformi andamenti della vita umana, nell’esaltazione della gloria divina. Dal punto di vista tecnico-interpretativo si tratta di un punto davvero complesso da rendere, al di là delle semplici note».
Nel Gloria Patri, dall’indicazione del ¾ in poi, Bach si distacca dall’atmosfera mistica precedente e si lascia contaminare dalla giocosità, forse addirittura dall’atmosfere dell’opera buffa…
«No, direi che ritorna la scintillante atmosfera dell’inizio. Visto sul piano retorico, si tratta di una ripresa finale per una conclusione celebrativa e festosa».
Lei non ha mai inciso musiche di Bach. Sta pensando a qualche progetto bachiano?
«Ho eseguito più volte la musica di Bach che ritengo il più alto livello espressivo mai toccato nella storia della musica occidentale, forse non solo del settecento. Personalmente mi sono dedicato per lo più al repertorio italiano sacro e strumentale e per il momento non sto progettando registrazioni di composizioni bachiane. Mi ritengo soddisfatto se potrò avere comunque la consapevolezza di aver contribuito, anche in minima parte, alla conoscenza di questo autore, il che significa, al di là di una musica eccelsa, a sollecitare una riflessione profonda sul destino dell’uomo».