Lessons of love di Chiara Campara, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Biennale College Cinema, è un film di poche pretese, modesto, se vogliamo, ma abbastanza ben realizzato, tutto giocato sul rapporto tra uno stalliere di montagna di trent’anni, Yuri, ed una strip–teaser dalla bellezza discreta, Agata.
Mentre lui mostra un temperamento piuttosto alterno (in una gamma che va dalla dolcezza alla violenza, e dal grezzo al sensibile), lei si mostra dotata di una certa sensibilità e uniformità caratteriale.
Stanco della vita in stalla, ad un certo punto Yuri chiede al proprio zio di lavorare con lui come muratore edile. Trasferirsi in città gli permetterà soprattutto di stare più vicino ad Agata (anche se Agata rappresenta per lui un’incognita).
Per quanto Yuri sia solito da tempo frequentare il night di Agata, inizia a volerla frequentare al di fuori del (suo, suo di lei) luogo di lavoro, cercando così di creare un rapporto diverso, più profondo, e comunque per lui del tutto nuovo. Non ci viene spiegato a chiare lettere se quella di Yuri sia un’infatuazione, o un vero amore, o semplicemente il tentativo di superare i confini relazionali oltre i quali non era riuscito fino a quel momento a spingersi. Sappiamo con certezza che prima di conoscere Agata il protagonista non aveva avuto altre donne. Nel corso della storia egli confessa, in uno dei pochi momenti d’introspezione: “Non so cosa sia l’amore, non so neanche se c’ho un cuore, è che ad un certo punto uno non vuole più stare da solo”. Ma non dimentichiamo che il titolo reca la parola “Love”.
Il fatto che egli cerchi di ‘spezzare quella catena’ con l’amore a pagamento (che fino a quel momento rappresentava per lui l’unica modalità di relazione con una donna), segna senza dubbio un punto di svolta, un momento ‘sano’ di crescita.
In questo senso, il titolo induce a pensare che, molto genericamente, la figura di Agata sia il mezzo attraverso cui Yuri inizia il suo processo di maturazione (tardivo), il suo passaggio alla vita di uomo adulto. Per lui Agata rappresenta, forse, una figura femminile più rassicurante delle altre donne ‘normali’, in quanto se la perdesse come compagna in una situazione di normale relazione, potrebbe in teoria pur sempre recuperarla col denaro.
Dopo però che la ragazza gli fa notare che forse la scelta di costui di trasferirsi non è stata poi così buona, Yuri decide di tornare ai suoi animali di montagna, riscoprendo il legame affettivo che s’era comunque creato con quei luoghi.
E’ importante del resto far notare come il mondo rurale della montagna e la moderna edilizia non sono da considerare nel film meri sfondi, mere ambientazioni (contrapposte tra loro). Il punto di vista critico della Campara intende sottolineare come il mondo degli stallari di montagna e delle malghe (a cui ancora molti di noi guardano con nostalgia) si stia purtroppo sempre più restringendo, e sia destinato, almeno qui in Italia, ad estinguersi inesorabilmente.
La regista conclude la vicenda senza un reale ‘punto fermo’: termina con un punto e virgola, congeda lo spettatore con un sentimento di sospensione, lasciandolo libero di immaginare futuri possibili scenari per Yuri.
Da Dumas padre (La signora delle camelie) alla Traviata di Verdi (ricavata dal lavoro di Dumas), fino a Pretty woman (1990) e a Lessons of love, la storia letteraria e cinematografica è costellata di esempi di ragazzi o uomini che si invaghiscono di prostitute. Si tratta di un vero e proprio archetipo, attraverso cui l’uomo cerca di soddisfare forse l’ancestrale quanto inconscio suo desiderio di redimere la peccatrice, di rendere una donna, migliore. O forse (interpretazione completamente differente), approdare ad un legame sentimentale con una prostituta permetterebbe all’uomo di esercitare una sorta di potere su una donna che ritiene inconsciamente inferiore a sé.
Ma queste sono interpretazioni sul non espresso e non su ciò che viene espresso, sia da parte della regista che dai personaggi.
Leonardo Lidi fornisce un ritratto realistico di una ben precisa fascia sociale, offrendo un’interpretazione più documentaristica che cinematografica-attoriale. Interpretazione che, per quanto schiettamente modesta, tutta improntata com’è su un’espressività auto-ripiegata ed involuta, riesce comunque ad imprimersi nello spettatore. Incarna in qualche modo la figura dell’uomo fortemente interconnesso con il reale, con il concreto. Lui è la persona capace di informarci su quanto duri la gravidanza di una mucca, il suo orizzonte di pensiero è quello. C’è qualche cosa di primitivo e qualche cosa di empirico in lui: solo avanzando per prove ed errori è capace di comprendere cosa realmente desidera dalla vita.
Dal canto suo, Alice Torriani risulta decisamente più attrice, e, grazie ad una certa destrezza, riesce ad armonizzarsi piuttosto bene con il protagonista maschile.