Regia: Sally Potter
Titolo originale: The Tango lesson
Sceneggiatura:
Tratto da:
Anno di uscita: 1997
Interpreti principali: Sally Potter, Pablo Veròn.
Musiche: Fred Frith, Sally Potter
Nazionalità: Regno Unito, Francia, Argentina, Germania, Paesi Bassi.
Durata: 100’
Il film segue di cinque anni quel gran capolavoro sui generis che è Orlando, che vedeva Sally Potter solo regista e non anche interprete, come in questo caso.
E’ del resto, purtroppo, almeno per quanto mi risulta, l’unico film che vede la Potter anche nei panni di attrice (perlomeno sinora).
Lezioni di tango è stato presentato per la prima volta al Festival di Venezia nell’agosto del 1997 e immediatamente dopo al Toronto film festival.
Sicuramente film meno prezioso di Orlando, si tratta comunque di un bel film, ben costruito, sofisticato, dotato di un certo appeal, interessante da più punti di vista. All’epoca, mi sembra, riscosse un grande successo (non so se più di critica o più di pubblico, in ogni caso è diventato un film famoso).
E’ una storia d’amore quella che si accende tra Sally, regista di film (è in questo senso un film pienamente autobiografico, in quanto Sally è il nome anche di Sally Potter, regista sceneggiatrice ma anche attrice protagonista), e di un ballerino maestro di tango, Pablo (anche in questo caso il nome del personaggio coincide col nome dell’attore). Nella vita vera, Pablo Veron è infatti soprattutto ballerino, più che attore; per alcuni, si tratta del migliore ballerino vivente.
Parlando dei pregi del film, sicuramente partirei dal carisma di Sally Potter. All’epoca aveva 48 anni. Il suo viso si imprime per il fascino nobile e per la grande comunicativa. Una tipologia di femminilità che apprezzo molto, personalmente. Un fascino garbato, che costituisce l’aura di una donna-attrice appunto molto carismatica, anche nella più sottile piega del volto, anche nel più piccolo gesto o movimento. Cosa davvero non comune. E’ un vero peccato che la sua attività di attrice si limiti a questo unico film.
Un altro punto forte di Lezioni di tango è sicuramente il garbo della storia, che tiene sempre desti nella visione e non ha mai momenti dispersivi, anche se magari il tango può non essere il nostro hobby, anche se possiamo sentirci distanti da quel mondo. Altro punto fondamentale è che non si tratta di un film ‘commerciale’, o banale, per quanto la figura di Pablo Veron (un po’ convenzionale e un po’ dimesso) minacci vagamente di ‘appiattire’ il film, agli occhi almeno di chi non lo ha mai visto come ballerino al di fuori dei set cinematografici.
E ancora: sebbene davvero molte siano le scene del film in cui si vede ballare il tango, non si avverte un senso di sovrabbondanza, di ‘pleonasmo’.
A questo punto, è cruciale chiedersi cosa del tango venga messo più in luce dalla regista. Ovviamente l’elemento ‘cartolinesco – pittoresco’ è del tutto bandito dalla Potter (altrimenti non lo considererei un film degno di nota). La visione della regista sottolinea qui certo l’aspetto sensuale, certo anche la concezione del ballo come linguaggio, come forma di espressione creativa e come abilità ‘performativa – spettacolare’, però c’è a mio giudizio anche un quid misterioso che va al di là di tutti questi elementi che girano attorno al concetto ‘tango’. In altre parole, non va tutto a finire nel sensuale, non va tutto a finire nel concetto di linguaggio espressivo, non va tutto a finire nel concetto di performance. Mentre altri registi si sarebbero limitati a rimanere sul piano descrittivo (una donna ama un uomo e cerca di avvicinarsi a lui attraverso il tango), la Potter riesce a creare il miracolo e a infondere a quella pratica artistica un’anima anche diversa, per nulla scontata, per certi versi difficile da esprimere a parole.
Nella scena di San Sulpizio (ovvero la scena ambientata nell’antica Chiesa di Saint Sulpice, una delle più importanti di Parigi, della Francia e del mondo), quando il discorso si concentra sull’affresco raffigurante San Giacobbe e l’angelo, allo spettatore risulta chiaro come la prospettiva registica della Potter possa anche essere intesa come più ampia, metaforica, quasi. Nel potente affresco di Eugène Delacroix è rappresentata la lotta tra Giacobbe e l’angelo; l’impronta personale artistica della Potter vuol farci suggestionare che tale posizione assunta dai due personaggi ricordi il tango. Non tanto per dire che il tango di oggi si ricollega al passato e ha in sé qualche cosa di ancestrale (una sorta di ‘mitologia’ del tango, come sarebbe piaciuto ad Aby Warburg). Ma per dire che il passato è anche presente (mi si scusi il gioco di parole) tra noi e ci osserva, silenzioso. Del resto, anche Orlando, anche se in modo molto più accentuato e sostanziale, dimostra come la dialettica tra passato e presente sia un tema molto caro alla regista.
Anche Sally e Pablo hanno un rapporto di amore – odio, di attrazione – respingimento (proprio come in un ballo). Lei è fortemente pervasa di amore nei suoi confronti, ma le fluttuazioni un po’ enigmatiche di lui la disorientano. Forse, proprio queste titubanze misteriose da parte dell’uomo rappresentano uno degli elementi più deboli del film.
Ma alla fine, dopo diversi incontri – scontri, è l’amore ad avere la meglio. Interessante è appunto il tema dell’ambiguità (che in Orlando era tema cruciale) tra i due poli dell’amore e dell’odio, tra l’accogliere e il respingere – abbandonare, insiti in questa personale visione del tango.
Al di là della trama caratterizzata tutto sommato da pochi colpi di scena, a rendere importante il film è comunque la narrazione, tutta incentrata sulla ricerca di soluzioni e di idee, così appunto da tenere sempre vigile l’attenzione dello spettatore.
Il tono degli attori è sempre molto delicato, garbato, ‘francese’, anche quando i toni si accendono un po’; la ‘gogliardia’ dei balli a tre, a quattro (anche tra uomini), non è mai chiassosa, ma sempre vista in modo poetico.
Il carattere onirico della vicenda esplode soprattutto su un altro piano. Quello della visualizzazione di spezzoni di scene della sceneggiatura della protagonista, che nella storia, lo ricordo ancora una volta, è per l’appunto autobiograficamente una regista di film. Scene alquanto bizzarre che appaiono come brevi lampi di ispirazione nella mente creativa di Sally (e in definitiva costituiscono solo una sorta di contorno alla vicenda vera e propria). Tali spezzoni di film vedono per protagonisti delle misteriose donne idealizzate con vesti pleonastiche dai colori sgargianti (stile fata) e un altrettanto misterioso nano senza gambe. Ma non solo: protagonista di questo film ‘parallelo’ è anche il paesaggio, che sembra voler richiamare alla memoria certe ambientazioni del film Orlando. Come se la Potter volesse strizzare l’occhio allo spettatore e ricordargli che lei è stata la regista di quel film, e che da lì è ripartita, dopo un po’ di anni. Sono quelle le fondamenta da cui si riparte: non mera archeologia, ma punto di riferimento silenzioso quanto vivo.
Per quanto le musiche scelte costituiscano un elemento fondamentale (alcune migliori di altre), è soprattutto sulle coreografie (dello stesso Veron) che la Potter sembra puntare.