Piccolo capolavoro questo film salutato dal pubblico con entusiasmo alla Sala Darsena il 31 agosto scorso nel corso della Mostra del Cinema di Venezia (Sezione Orizzonti).
Il talentuoso regista Antoine de Bary descrive con grande sensibilità e partecipazione emotiva la storia di una svolta positiva (quando classicamente ‘tutto sembra perduto’) nella vita di un giovane francese, Adrien, interpretato da un eccellente Vincent Lacoste.
Da qui in poi cercherò di evidenziare come la vicenda sia fortemente imperniata sul criterio della distinzione tra sogno e incubo. In senso freudiano, i sogni sono sempre appagamenti dei nostri desideri (di cui siamo o perfettamente consapevoli, o anche ignari). Gli incubi invece rappresentano, sempre per Freud, delle realtà che invece desideriamo non accadano (sempre consapevolmente, o magari inconsapevolmente).
Il film può essere visto proprio come un continuo mettere sui due piattini di una bilancia elementi che giocano a favore (realizzazione onirica di desideri) ed elementi che giocano a sfavore (incubi) del protagonista. Alla fine la bilancia penderà dalla parte del sogno, e i molti momenti brillanti di cui è costellata la storia fanno intuire allo spettatore che sarà effettivamente così.
Adrien è un accattivante e scaltro giovane che riesce a raggiungere i suoi obiettivi sostanzialmente per il fatto che ha dalla sua di essere bello, straordinariamente furbo e simpatico (e questo rientra nell’ambito del sogno).
La sua è una politica fatta di sotterfugi e rocambolesche bugie, com’è tipico dei ragazzi della sua età.
E allora per esempio una volta dimenticate le chiavi di casa in casa, chiama i pompieri asserendo che la sua ragazza rischia di essere soffocata dal gas della cucina. E ancora: si presenta ad un provino per attori di cinema per poter racimolare un po’ di soldi, fingendo spudoratamente di aver fatto domanda, e via discorrendo.
Ma la sua faccia tosta nulla può contro un’umiliante disfunzione erettile che gli guasta una relazione con la bella Lea (e questo suona chiaramente come un incubo).
La disfunzione gli crea insicurezza anche preventivamente, e quindi è sia causa, sia effetto della sua timidezza con le donne.
Adrian ha da parte sua, oltre la bellezza, la furbizia e la simpatia, un altro bel privilegio: una benevola madre psicoanalista (e anche questa sembra la realizzazione onirica di un desiderio).
La madre riesce a cogliere con sensibilità professionale il suo problema psicologico (che sta a monte di quello fisiologico, di cui lei peraltro è all’oscuro): ella cerca di spiegargli che è necessario che l’uomo accetti e accolga benevolmente la propria parte femminile (che Jung chiama, com’è ben noto, Anima), presente in ogni maschio, per poter realizzare il proprio Sé in senso ‘pieno’ e per riuscire ad avere buone e ‘normali’ (uso questo termine anche se andrebbe bandito quando si fanno discorsi di psicologia) relazioni col sesso opposto. Una delle ‘spie’ che l’hanno indotta a credere che ci sia qualcosa che non va in Adrien è l’anomala ‘prossemica’ del figlio: mentre i suoi amici coetanei si abbracciano, si toccano, ‘invadono’ fisicamente e giocosamente lo spazio l’uno dell’altro, Adrien si mostra sempre attento a non ‘violare’ questo spazio altrui.
Durante il casting sopra menzionato – per un film che intuiamo sarà quanto mai strampalato – Adrien viene scelto per fare la parte del celeberrimo generale Charles De Gaulle giovane (sogno).
Dopo un po’ viene a conoscere il ragazzo scelto per interpretare il fratello di De Gaulle, un giovane nella realtà sbruffone e gran seduttore, quindi un insidioso ed ingombrante rivale per lui, che già s’era fatto qualche pensierino sulle attrici del cast (incubo); ma ben presto scopre che costui è gay, e la constatazione un po’ lo rincuora (sogno).
Ma l’incapacità di tessere concrete e durature relazioni con le donne e la conseguente tendenza a fuggirle porta Adrien alla solipsistica dipendenza dal porno (che peraltro secondo alcuni studi scientifici odierni contribuisce alla disfunzione erettile).
A questo punto della vicenda Adrien subisce un tracollo su tutti i fronti: le occasioni con le ragazze si mostrano tutte fallimentari, gli viene pignorata la casa, perde il lavoro: sopraffatto dagli eventi, il povero ragazzo decide di buttarsi nella Senna (incubo).
Si dice spesso che solo dopo aver ‘toccato il fondo’ (metaforicamente) si può risalire (la madre infatti ad un certo punto gli dirà: “Ci si può sempre rialzare”): è anche il caso di Adrien, il cui percorso di vita svolterà poco a poco felicemente (anche in questo caso, la realizzazione onirica di un desiderio).
Malgrado il finale un po’ eccessivo, che non svelo, Mes jours de gloire è senza dubbio un film importante, molto ben narrato, incentrato sulla rivalsa di un personaggio abbastanza ‘umano’. In lui sono ravvisabili certo punti di forza quanto debolezze, delle luci quanto delle ombre, ma nel complesso c’è da dire che si tratta di un personaggio molto, molto fortunato (e questo forse non piacerà a tutti gli spettatori). La parola della madre (figura salvifica della storia), in questo caso, risulta provvidenziale per risvegliare qualcosa di interno a lui, così da sbloccare un meccanismo che si era inceppato.
Ma come viene scritto anche nella Morfologia della fiaba di Propp, la figura dell’ ‘aiutante’ può anche essere svolto da un animale. In moltissime fiabe, in moltissimi racconti, è l’animale che aiuta l’Eroe a raggiungere l’obiettivo, o la maturazione, o la svolta. In effetti, in Mes jours de glorie molto persistente è la presenza del cane di Adrien. Senza nulla togliere alla figura della madre del protagonista, è comunque importante sottolineare come la parabola di vita del cane di Adrien rifletta in qualche modo l’evoluzione di vita del suo padrone. Il regista fa in modo che la morte del cane venga perfettamente a coincidere con una tanto agognata svolta positiva per il ragazzo. Quasi che, una volta raggiunto lo scopo, la figura dell’aiutante di proppiana memoria non servisse più. Un fatto analogo avviene in The guest of honour di Atom Egoyan (film sempre presentato alla Mostra), in quel caso, un coniglio, a cui il protagonista è fortemente legato. Anche la morte del coniglio nel film di Egoyan viene curiosamente a coincidere con un’importante svolta nella storia. Nel caso del film di de Bary c’è una connotazione umoristica dell’animale, ma la svolta drammatica che porta alla sua morte lo rende qualcosa di più che un semplice elemento ‘di sfondo’.
Il sopra nominato Vincent Lacoste è contornato da un cast di ottimo livello: a partire dalla sensibile e profonda Emanuelle Devos, madre appunto di Adrien. Commovente e ricco di pathos il padre di Adrien (niente meno che il grande Christophe Lambert), che svolge un ruolo appositamente un po’ sfuggente.
Brava Noée Abita come Lea (la prima ragazza con cui Adrien vorrebbe flirtare), ma incisivi risultano anche la seconda ragazza conosciuta da Adrian e i simpatici e gogliardici amici del protagonista.
Davvero considerevoli le musiche di Ulysse Cottin, straordinariamente funzionali alla narrazione della vicenda.