Autore: Georges Bataille
Anno pubblicazione prima edizione: 1966
Casa editrice considerata: ES. Classici dell’Eros
Città: Milano
N. pagine: 120
Come informa la seconda di copertina dell’edizione curata dalla Casa editrice ES – una delle più pregevoli nel campo della letteratura erotica ma non solo – del romanzo erotico Mia madre (Ma mère) di Georges Bataille (1897-1962), il testo venne rinvenuto tra le carte inedite dopo la morte dell’autore e pubblicato nel 1966.
Bataille, filosofo e scrittore nato a Billom (cittadina situata nel centro della Francia), per alcuni è unicamente l’autore de La storia dell’occhio (1928), ma in realtà sono davvero molti i lavori che hanno distinto la sua figura – certo non solo nell’ambito della cultura francese – e continuano tutt’ora a suscitare interesse e dibattiti a livello mondiale. Il suo pensiero (asistematico) e alcune delle sue opere (per lo più impossibili da ricondurre a generi e discipline specifici) hanno influenzato anche il cinema, tra l’altro. Nello specifico, del 2003 è ad esempio il film Ma mère di Christophe Honoré con Isabelle Huppert e Louis Garrel.
Per comprendere Mia madre ad un livello ‘altro’ da quello del semplicistico sprofondare nel turbamento, nella morbosità fine a se stessa, nelle sabbie mobili della pulsionalità e dell’eccesso, occorrerebbe ‘studiare’ Bataille. Studiare la sua filosofia, studiare altri suoi testi come L’Histoire de l’érotisme (1950) e L’érotisme (1957), ma anche tutte quelle opere che non mettono propriamente l’erotismo al centro dei loro discorsi, o addirittura lo escludono dai loro discorsi.
Anche se Bataille ha deciso di pubblicare con uno pseudonimo (nel corso della sua vita ne ha scelti in realtà ben tre) i suoi lavori più scabrosi (di cui Mia madre fa parte), è innegabile come la sua riflessione sull’erotismo pervada una parte consistente dei suoi lavori.
La sua biografia (la figura problematica dei suoi genitori) ha in parte certamente condizionato il suo pensiero e il suo personale modo di concepire le figure maschili e femminili delle sue opere letterarie.
Quello che al di là di tutto può creare una certa suggestione nel lettore è l’interesse costante, in lui, nei confronti della parte buia e caotica dell’esistenza. La sua totale sfiducia nei riguardi della razionalità, della logica, del progetto, dello scopo, dell’illusione di poter racchiudere in un Sistema il pensiero e l’agire umani. Quello che affascina (ma anche impaurisce) Bataille è all’opposto la tenebra, il salto nel nulla, l’oscuro abisso, il caos, l’infinità dell’ “esperienza interiore” (con tale espressione Bataille intende indicare il misticismo), il non senso, la non certezza. Una concezione che pervade un po’ tutti gli aspetti, non ultimo anche quello del linguaggio: Bataille si pone dalla parte del “silenzio”, e non del “discorso”; dalla parte del “vento” e non dell’ “enunciato del vento”. Il suo è un invito all’abbandono, alla ‘non resistenza’.
Sarebbe interessante chiedersi a questo punto che posto occupino il Dionisiaco nietzschiano e il concetto di Ombra junghiana nel pensiero di Bataille.
Nella visione di Bataille, l’uomo tende sempre a negare la sua animalità, ma l’erotismo (la “parte maledetta” per eccellenza) di fatto fonda l’umanità autentica. L’uomo ha bisogno di sprofondare nelle tenebre per riappropriarsi del proprio essere divino.
Lascio al lettore, se vorrà, addentrarsi più nello specifico nei meandri del pensiero di Bataille.
Riguardo Mia madre, si possono fin da subito confermare le ipotesi che il lettore certo non avrà trascurato di formulare sui contenuti di tale romanzo erotico, potendosi basare lui, fino a qui, unicamente sul titolo. Una vicenda prevedibilmente incentrata sull’Edipo e sul tabù dell’incesto, sul rapporto morboso tra una madre ed un figlio.
Da una parte la madre, Hélène, una donna viziosa pervasa in modo sempre più devastante da una lussuria che la domina implacabilmente (lascio al lettore decidere se si tratti di un libertinaggio, ma sfrenato, o di ninfomania: talvolta i confini tra questi due ambiti si confondono) e dal bere incontrollato; dall’altra Pierre, il figlio diciassettenne (nato da uno stupro, figlio di un uomo violento e anch’esso dedito al bere), sempre più destabilizzato dal turbamento, sempre più squassato dal sentimento del Proibito – suscitato in lui dalle malizie e dalle provocazioni dell’insana madre – che lo fa sprofondare via via in un insolito (insolito per lui) connubio di piacere ed angoscia.
Ad arricchire la storia – malinconica o tragica o perfettamente intrigante a seconda di come il lettore la potrà o vorrà cogliere – già nel suo impianto di base carica di perversione e sfrenatezza, Bataille inserisce alcune donne di vita, vere e proprie alter ego di Hélène, ma anche complici e sue amanti carnali.
La concezione che mi sembra traspaia in questo lavoro (ed è giusto chiedersi se sia presente sempre in Bataille), è quella deterministica della causalità: gli eventi esterni, le figure che ci generano e con cui abbiamo a che fare nella vita, i fatti (positivi o negativi) che ci capitano durante la nostra esistenza, ci modificano creando il nostro destino. Così a nostra volta noi condizioniamo il destino altrui.
Per quanto il romanzo sia certamente nel complesso una buona prova di letteratura erotica, ben scritta, è a mio giudizio opportuno fare due considerazioni fondamentali.
La prima considerazione è la seguente. Il romanzo, anche se non è stato possibile datarlo (almeno finora) con precisione (come è invece il caso de La storia dell’occhio e di Madama Edwarda, il primo, capolavoro celeberrimo, il secondo, lavoro passato un po’ in subordine), è comunque un po’ frutto dei suoi tempi. Non un lavoro dal valore ‘universale’, non un vero e proprio archetipo come può essere la figura di Lulu concepita da Wedekind (tanto per citare un archetipo letterario di erotismo per come lo intendo io). Nel senso che Wedekind riesce ancora a ‘battere’ l’erotismo e il porno (sì, anche il porno) che si è sedimentato volenti o nolenti nella nostra cultura, nella nostra ontogenesi e nella nostra filogenesi, riesce a pronunciare parole ancora originali, capaci di sorprenderci ed affascinarci nel 2019; mentre invece un lavoro come Mia madre finisce per confondersi nel già pronunciato, nel già ‘esperito’, sia dell’erotismo che del porno.
Il secondo elemento che, sempre a mio giudizio, finisce per smorzare l’entusiasmo per questo lavoro di Bataille, è l’eccesso di emozione nei personaggi. I personaggi si emozionano troppo. Con “emozione” io intendo qui i sentimenti (qui trasbordanti) provati dai singoli personaggi: dalla madre, dal figlio, e dalle figure femminili che appunto prendono parte al quadro. C’è troppa enfasi in ciò che provano, e troppo permanente. E’ un’intensità perenne, costante, senza capacità di ‘modulare’, di ‘melodizzare’. C’è un eccesso costantemente descritto (sempre uguale a se stesso, in fondo), costantemente provato (dai personaggi), senza sfumature, senza chiaroscuri, senza contrasti, senza ‘fluidità’.
E’ un po’ come se l’effetto finale, per il lettore d’oggi, fosse quello di vedere un dipinto di Toulouse-Lautrec (poniamo fra quelli tra i suoi più ‘erotici’, anche se Lautrec non si è mai spinto oltre certi limiti, come ben sappiamo), a cui artificialmente sono stati caricati i colori all’eccesso (parlo tecnicamente di saturazione abnorme del colore), privandolo delle sue naturali modulazioni e atmosfere. Tale operazione renderebbe certo più ‘vivido’ il quadro all’occhio di colui che osserva l’immagine, ma non più ‘erotico’. Così è per questo eccesso di emozione nei personaggi. Un eccesso che non ‘punge’, che non solletica il lettore.
In genere esiste sempre una zona di confine (impercettibile, indefinibile) tra le emozioni che a livello di finzione (l’opera d’arte è pur sempre carta, o pellicola filmica, o tela, non carne, non ossa) vengono provate dai personaggi di una storia, e quelle provate dal fruitore dell’opera artistica. Un’opera artistica è di grande valore, se non addirittura capolavoro, quando questa linea di confine muore. Nel caso di Mia madre, al contrario, questi confini vengono avvertiti, in certi passaggi anche molto.
In conclusione, romanzo erotico o “Caso clinico”, a seconda di come lo si voglia o lo si possa ‘vivere’, potrà certo colpire (in senso buono o anche in senso pienamente negativo) solo e soltanto persone ancora poco ‘alfabetizzate’ sul piano sessuale-emozionale, ancora parecchio ignare della ‘vastità’ dell’erotismo presente in ognuno di noi.