Recensione di “Z – Nulla da perdere” di Valeria Florio

Z – Nulla da perdere di Valeria Florio è un romanzo che può interessare e colpire per più ragioni. In parte esso rimanda in modo palese a fatti drammatici di storia e politica internazionale che ci hanno coinvolti e continuano a farlo a vari livelli, dei quali abbiamo sentito la portata cataclismatica soprattutto da pochi mesi, e colpisce tra l’altro il fatto che la pubblicazione del libro (per le edizioni Haiku) sia avvenuta proprio nel marzo di quest’anno.
Un secondo motivo, riguarda il fatto che il libro contiene in sé un gran numero di tipologie e di situazioni umane, di passioni, di affetti, possiamo dire a buon diritto ben noti all’autrice, in quanto psicologa e psicoterapeuta (uno di quei tanti e interessanti casi in cui una professionista del benessere psichico è stata catturata dalla fascinazione della
scrittura creativa). E questo rende quindi quasi inevitabili le identificazioni, le immedesimazioni da parte di chi legge.
Detto per inciso, vari sono i contributi scientifici della Florio, le sue pubblicazioni in ambito psicologico, tra le quali voglio almeno citare Il cambiamento: sull’onda tra crisi e opportunità, scritto con Giovanni Anzuino.
Alcune tematiche in particolare, incontrate dalla Florio nelle sue esperienze di terapeuta, vengono ‘studiate’ anche nel romanzo.


Politica e psicologia generano inevitabilmente il terzo ‘nucleo’ di questo lavoro, ossia l’elemento sociale (tematiche, questioni di carattere sociale, peraltro pure molto attuali).
In realtà ci si può rendere conto di come in Z – Nulla da perdere l’ambito politico, quello psichico e quello sociale confluiscano in un unico grande magma di idee efficace, a tratti conturbante, fino all’ultima pagina.

Ecco l’impalcatura del lavoro nella sua essenza: un sistema politico ideologico, dalle fattezze cupe, governa la misteriosa città di Z. In essa viene organizzato un programma televisivo che scopertamente ricalca le orme del nostro Grande fratello, dal titolo Cosa sei disposto a vincere? Con la lugubre variante della morte dei concorrenti in caso di perdita (ossia di eliminazione dal gioco).
Nella prima parte della storia le dinamiche fra i singoli membri del gruppo della casa (termine evocativo per tutti noi quando pensiamo al Grande fratello) sembrano proprio riecheggiare quell’impostazione originaria a metà strada tra l’artificioso e lo spontaneo, tra il Commerciale e il Naturale, di quel reality per come ce lo ricordiamo nei suoi primi anni – reality tanto bistrattato ma anche tanto amato, entrato nel nostro ‘inconscio collettivo’ – ma al contempo quelle che coinvolgono i personaggi della vicenda sono anche dinamiche ‘nobili’, che troviamo mutatis mutandis pure nella mitologia greca e romana, e negli antichi drammi metastasiani: un continuo e denso proliferare e svilupparsi di rapporti di attrazione e repulsione, un sistema complesso di ‘magnetismi’ che variano, anche contraddicendosi, dinamicamente nel tempo. Rapporti di ‘polarità’ magnetica in parte basati sui ragionamenti, in parte basati sugli istinti.
L’autrice poi, andando avanti nella narrazione, passa a mettere in evidenza alcuni elementi in particolare, come una sorta di sguardo al microscopio di alcune situazioni e personalità specifiche. Il campo visivo si allarga, vengono esplorati territori e realtà anche al di fuori della casa, in un processo psicodrammatico in cui i punti di vista vengono dalla Florio moltiplicati, e la realtà fin lì tracciata viene sondata in modo ancor più profondo e completo.
E quasi come un esito necessario, via, verso lo stadio successivo, il passaggio dalle tenebre alla luce, in senso schiettamente utopista. Una liberazione da quel minaccioso e castrante sistema politico che aveva contraddistinto fin lì l’atmosfera emotiva della vicenda, un agognato quanto risolutivo giro di boa, un’ottimistica svolta verso una via democratica, di libertà.

Valeria Florio

Da tutto ciò risulta chiaro come politica, psicologia, società, vengano in questo libro inquadrati dall’autrice in un’ottica esistenzialista, filosofica, e di questo ce ne si rende conto fin dalle prime pagine.
Il focus sul senso/non senso della vita, sul senso/non senso nel fare cose, nel porsi obiettivi, viene perpetuamente riproposto.
Così come ben chiara e ricorrente è la metafora della casa come società in miniatura, con le sue regole, in un continuo oscillare tra vita e morte, fra sentimento altruistico e pulsione atavica di sopravvivenza (la propria).
In questa prospettiva esistenzialista, appunto, intimamente legata al concetto di senso/non senso dell’esistere, è la figura della donna, protesa per missione (in modo a volte anche pienamente silenzioso e invisibile) a voler richiamare, risvegliare o corroborare, nell’uomo l’azione e la tensione verso uno scopo, quale che sia, nonostante l’insensatezza (forse) dell’esistere.
Così la Florio, assumendo a mio giudizio una posizione molto sincera femminile, presenta vari modi di essere della donna, dall’eroina attivista, alla musa, alla donna ripiegata in sé stessa, dedita all’alcool, smarrita, svuotata di ogni contenuto e volontà. Ma in vari casi la personalità della donna in questo romanzo viene fatta ‘tracimare’, adombrando alcune figure maschili in cui emergono, al di là della facciata o del ruolo che essi rivestono, temperamenti deboli e insicuri, in senso molto realistico per quella che è la società di oggi.


Ogni elemento alla fine presente nel romanzo può essere inteso in chiave simbolica.
La crudeltà spettacolare del supplizio psicologico dei protagonisti della vicenda, e la loro oppressione, tesi in senso quasi epico tra parte spirituale (l’aria, la leggerezza, la parte nobile dell’uomo, la sua parte creativa e sublime) e parte istintiva (la terra, gli abissi, l’Ombra, la parte disadattata e primitiva) rimanda a due grandi letture che hanno fatto come da alfa e da omega al romanzo della Florio: da un lato, inevitabilmente, Fahrenheit 451 di Bradbury (1953), dall’altro Il signore delle mosche di Golding (1954).
Forse una delle caratteristiche emotivamente più interessanti e peculiari di Z – Nulla da perdere è la capacità da parte dell’autrice di restituire al lettore, grazie a uno stile immediato, evocativo, e anche molto crudo, l’atmosfera ‘di moderno’, aspra, artificiosa (vorrei dire quasi fatta di plastica) dell’ambiente della casa (pure la casa del Grande fratello sapeva molto di plastica, di effimero, di giocattolo, di mobili tirati a lucido), nella quale la Florio riesce abilmente a far avvertire il battito di cuori pulsanti, quelli dei suoi personaggi.

Luca Mantovanelli

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